Leggende urbane sul flauto dolce
Partiamo da un paio di definizioni per i meno avvezzi. Nel sistema occidentale prevalentemente in uso ci sono dodici note diverse che si ripetono ciclicamente a diverse altezze (ottave). Uno strumento è detto cromatico quando è in grado di emettere in maniera utilizzabile musicalmente tutte e dodici le note per buona parte dell’estensione a disposizione. Al contrario è detto diatonico quando emette prevalentemente solo un sottoinsieme di note. Con riferimento alla tastiera del pianoforte, ad esempio abbiamo:
- cromatico: tasti bianchi e tasti neri
- diatonico: soli tasti bianchi.
Quindi chi sostiene che il flauto dolce non è uno strumento cromatico perché non ha tutte le note, sbaglia a causa di una conoscenza superficiale dello strumento.
Se però guardiamo alla definizione data poc’anzi, ci accorgiamo che non basta la capacità di emissione delle note, ma anche la loro utilizzabilità musicale. Su questo punto anche chi conosce molto bene lo strumento si divide. Alcuni pensano che quelle note e determinate tonalità siano poco o scarsamente utilizzabili a causa di almeno uno di tre fattori:
- difficoltà di diteggiatura (diteggiature a forchetta);
- difficoltà di intonazione;
- inferiore qualità nel suono.
- le difficoltà di diteggiatura ci sono anche nella scala di base dello strumento, non solo in quelle di altre tonalità lontane, o in quella cromatica;
- l’intonazione è difficile per pressoché ogni nota dello strumento, almeno in fase iniziale di studio;
- la mancanza di uniformità nel timbro (legata a doppio filo all’intonazione) riguarda, ancora una volta, tutte le note e non solo quelle alterate (i tasti neri del pianoforte…).
Suonare tutte le note in tutte le tonalità è, in ultima istanza, più che possibile sul flauto dolce, solo è abbastanza difficile e richiede un impegno di studio specifico.