Il Suono-Pinocchio

Gianluca Barbaro
Recentemente un insegnante mi ha fatto riascoltare la colonna sonora del Pinocchio di Comencini, la bellissima versione TV del 1972.
Le musiche erano state scritte ed eseguite da Fiorenzo Carpi, uno dei più importanti autori italiani di musica da film e teatro, scomparso nel 1997.
Il senso didattico di questo ascolto era meno ovvio di quel che si può pensare. Fra gli ideali timbrici che il flauto dolce ha da offrire c'è anche il suono tremolante e povero che Fiorenzo Carpi ha nel Viaggio in groppa al tonno, che poi altro non è che il suono che tutti i principianti hanno. Non si tratta però solo di un esempio negativo: in realtà quel suono è perfetto per quella musica e per la destinazione d'uso che aveva, a ennesima dimostrazione del fatto che tutto è relativo e che bisognerebbe pensarci tre volte prima di criticare il suono di chiunque.

Nei mesi seguenti, questa esperienza d'ascolto ha continuato a tornarmi alla mente e alla fine credo di avere capito perché. Mi sono accorto che il Pinocchio al quale pensiamo tutti d'istinto è quello di legno, il burattino scombinato e monello che ne fa di tutti i colori. Ma il senso più profondo della fiaba di Collodi invece sta (moralisticamente) nella sua aspirazione a diventare bambino in carne e ossa, attraverso la crescita (e la redenzione, dovrei aggiungere). Personalmente trovo questa parte della fiaba troppo didascalica e pedagogica (al di là delle intenzioni, forse ironiche, di Collodi), eppure si adatta bene a fare da similitudine per il flauto dolce.

Il "suonino" alla Fiorenzo Carpi è proprio come il Pinocchio-burattino: è quella la prima cosa cui la maggior parte delle persone pensa riguardo al flauto dolce.
Mi spiego meglio: il senso della fiaba sta nella trasformazione finale in bambino, eppure il Pinocchio che in realtà abbiamo in mente è il burattino.
Allo stesso modo, l'ideale timbrico cui il flauto dolce tende è ben diverso dal "suonino" alla Carpi, eppure è a quello che la maggior parte delle persone pensa riguardo al flauto dolce.
Quindi, così come Pinocchio da burattino diventa uomo, il flauto dolce da piffero o fischietto deve diventare vero strumento musicale.

Come si fa? Evidentemente come Pinocchio: mettendo la testa a posto e impegnandosi a fare le cose come si deve :), ovvero lavorando esplicitamente sul suono, che altro?

Il problema è che non sono solo i profani a non considerare il suono "nobile" del flauto dolce. Molti amatori si accontentano troppo facilmente di emettere note più o meno giuste trascurandone il timbro, ma non è infrequente ascoltare anche professionisti con suoni forse acerbi, o comunque poco flessibili: magari belli ma assolutamente immodificabili. In questo modo qualunque cosa sembra suonare sempre nello stesso modo, se eseguita al flauto dolce.

Invece basta non andare troppo lontano e prendere una qualunque registrazione di Frans Brüggen per accorgersi di quante sfumature egli riesca a mettere in campo e di come, in definitiva, il suo "bel suono" dipenda proprio da quella ricchezza ed elasticità timbrica.

Da allievo so bene quanto difficile, lungo e a volte disarmante sia il lavoro sul suono, e cerco di tenere sempre a mente la meta finale, altrimenti avrei già cessato da tempo questi sforzi e mi sarei accontento di un suono-Pinocchio. Chiedo agli altri allievi (amatori o professionali): lavorate su questo in maniera esplicita e con tecniche specifiche? Il vostro insegnante si mostra consapevole di questo, o vi lascia semplicemente spifferare come meglio potete?

Nel flauto dolce tutto si ripercuote sul timbro: l'intonazione, l'articolazione, il movimento delle dita, il supporto nella respirazione. Eppure ho l'impressione che tutte queste cose, cui ogni suonatore sicuramente dedica molto tempo, se messe insieme in maniera sia pur ottimale non daranno da sole un bel suono. Il flauto dolce è uno strumento bastardo dentro: se la mattina scendete dal letto col piede sbagliato si sentirà nel suono. È terribilmente trasparente: tutto quello che avete dentro si sente fuori.
E allora forse quella di Pinocchio è più di una metafora: per avere un bel suono a volte è necessario cambiare qualcosa di se stessi e del proprio approccio profondo alla musica e alla pratica strumentale, smetterla di essere solo marionette.